Mi presti una parola?

“Unsere Sprache kann man ansehen als eine alte Stadt: ein Gewinkel von Gäßchen und Plätzen, alten und neuen Häusern, und Häusern mit Zubauten aus verschiedenen Zeiten; und dies umgeben von einer Menge neuer Vororte mit geraden und regelmäßigen Straßen und mit einförmigen Häusern.” Wittgenstein 1953, Philosophische Untersuchungen, § 18)

“Our language can be seen as an ancient city: a maze of little streets and squares, of old and new houses, and of houses with additions from various periods; and this surrounded by a multitude of new boroughs with straight regular streets and uniform houses.” Wittgenstein 1953, Philosophical Investigations, § 18

“Il nostro linguaggio può essere considerato come una vecchia città: un dedalo di stradine e piazze, di case vecchie e nuove, e di case con parti aggiunte in tempi diversi; e il tutto circondato da una rete di nuovi sobborghi con strade diritte e regolari, e case uniformi.” Wittgenstein 1953, Philosophical Investigations, § 18

 

Da un po’ di tempo ormai faccio una specie di gioco con mia figlia. Siamo tutte e due molto incuriosite dalle parole e dalla loro origine e spesso andiamo a cercare, partendo dal loro suono, prima nella nostra fantasia provando a indovinare, e poi online o su libri e dizionari, da dove arrivano. Sono partita da qui. Poi, alcuni racconti di parole sono così curiosi e inaspettati che mi è venuta voglia di approfondire, di leggerne sempre di più e di condividerli.

In sintonia con la mia formazione e con il lavoro che faccio, trovo più di tutto interessanti i prestiti e gli pseudo-prestiti dalle altre lingue e le forme diverse in cui si manifestano e si diffondono nella lingua italiana. È singolare leggere che scrittori e grammatici dell’epoca romana imperiale correggevano le prime intrusioni in forma scritta delle lingue volgari che già allora iniziavano a diffondersi. Oppure che il latino e l’inglese sono state tra le lingue più aperte e ricettive nei confronti delle altre lingue. De Mauro scrive che “l’inglese, come si sa, ha sostituito oltre il 75% del lessico germanico con francesismi antichi e moderni, con ispanismi e italianismi e, soprattutto, con latinismi.” E che l’inglese si rivela la lingua più latinizzata del mondo non neolatino. Il lessico primario del latino era composto per un terzo da vocaboli di diretta eredità indoeuropea, un terzo da grecismi e il restante da vocaboli di origine etrusca, mediterranea, gallica e germanica.

E poi è bello pensare che dietro ogni parola non c’è solo la sua storia, ma la “storia” del nostro Paese e dei popoli con cui, per le ragioni più disparate, dal commercio, alla guerra, alla dominazione, all’emigrazione, ecc. siamo venuti in contatto e che ci hanno lasciato qualcosa in eredità. Alcune parole straniere sono state adattate, altre lasciate uguali all’originale. Alcune sono state introdotte per necessità, altre per vezzo e altre per caso. Ci sono le “parole boomerang”, quelle che vengono prestate a una lingua e poi ritornano indietro magari con un altro significato. Ci sono anche i falsi esotismi, parole coniate sulla spinta del bisogno di intercambio linguistico, che, sempre De Mauro definisce, “prestiti di desiderio, avventurose coniazioni glottologicamente improprie di là d’ogni effettivo contatto tra lingue.” Sono più di 250 le lingue di cui l’italiano è debitore.

Ma l’italiano non ha solo preso in prestito delle parole, ne ha anche donate. L’italiano ha svolto in epoca rinascimentale la funzione che ha assunto il francese tra il XVII e la metà del XX secolo e che svolge oggi l’inglese. Mi piace l’idea che una lingua possa fare da ponte per il passaggio di parole tra popoli che non hanno avuto contatto diretto e l’italiano ha svolto anche questo ruolo. Soprattutto in alcuni ambiti, ad esempio quello economico, musicale e alimentare, sono molti i prestiti di parole italiane (italianismi) di cui altre lingue sono destinatarie. Ancora oggi l’italiano è una lingua che attrae e il suo studio è in espansione in diversi paesi, in alcuni risulta essere al quarto o quinto posto, tra questi paesi c’è il Giappone, per esempio. È in corso di compilazione un dizionario degli italianismi nel mondo ad opera di studiosi della lingua.

La mia idea di viaggio “tra le pieghe delle parole”* è quella di proporre per tante, tantissime lingue, in ogni post, una o più parole di cui l’italiano è diventato destinatario e altrettante che ha ceduto, oppure alcune parole che sono partite da un luogo, hanno viaggiato e sono tornate arricchite, trasformate e, in qualche modo, nuove.

 

*cit. dal titolo di un libro di Gian Luigi Beccaria

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2018-04-11T09:33:17+00:00 9 aprile, 2018|