Alcune parole che identificano dei cibi sono diventate anche simboli, e quando si sentono vengono automaticamente associate ad alcuni Paesi, ma la loro origine non è proprio scontata.
PIZZA: l’origine di questo vocabolo non è ancora stata chiarita in modo definitivo, ma, messa da parte l’ipotesi del latino pinsĕre, ‘pestare, pigiare’ (supino pinsum), è stata proposta sia, da G. Pinci Braccini, un’origine germanica dall’antico alto tedesco bizzo-pizzo (cfr. il ted. mod. Bissen), documentato nelle accezioni di ‘morso’ ‘boccone’ ‘pezzo’ ‘pezzo di pane’, sia, recentissimamente, semitica (e più precisamente antico-aramaica e siriana: pit(t)a. (Fonte: Treccani online)
Col significato di focaccia la voce è attestata nel 997 nel latino medievale (piza) e nel 1565 in napoletano. Si tratta di un geosinonimo particolare che si impone sul settentrionale focaccia e sul fiorentino schiacciata solo quando si specializza come pasta sottile lievitata condita con mozzarella, pomodoro e alici. Il suo successo mondiale, da connettersi a distanza di secoli con l’origine etimologica di ‘boccone’, è relativamente recente e dovuta alla necessità odierna di consumare veloci spuntini. Nell’Ottocento, infatti, a Roma la prima pizzeria dovette chiudere per mancanza di clienti, anche se la regina Margherita amava la pizza, ma senza acciughe. Nel 1942, pizza passa a significare anche persona noiosa, forse perché all’inizio le pizze erano considerate un cibo poco appetibile. Sempre nel 1942, pizza diventa la pellicola cinematografica a causa della forma rotonda e piatta della scatola in cui è custodita. (Breve storia della lingua italiana per parole – A cura di Paola Marongiu)
Quindi la parola pizza ha origini germaniche o semitiche.
Oggi la parola pizza, nel suo significato gastronomico, è la parola italiana più diffusa al mondo, dopo la parola spaghetti. Viene utilizzata in 50 lingue e quando un non italiano la sente pensa, molto probabilmente, al nostro Paese.
E comunque, per me, la pizza più buona del mondo nasce grazie alla fusione di cultura e esperienza di panificazione marocchina con ingredienti italiani di ottima qualità, ed è quella che si può mangiare alla pizzeria Cardamomo, ovviamente a Como.
BAGUETTE: /ba’gɛt/ questa parola arriva in Italia dalla Francia nel 1933, iniziò ad essere utilizzata in Francia nel 1510 come prestito dall’italiano bacchetta proprio con il significato di bacchetta. I significati più comuni di questo termine, nella lingua italiana, sono: 1. Forma corrispondente all’italiano baghetta (che ne è un adattamento). In francese la parola indica anche, tra l’altro, una forma di pane sottile simile al filoncino o sfilatino, ma più allungata. 2. Nella montatura dei gioielli, ciascuno dei diamanti rettangolari con vario numero di faccette. (Fonti: Dizionario Treccani online e Dizionario delle parole straniere nella lingua italiana di Tullio De Mauro e Marco Mancini).
Quindi baguette è un prestito dall’italiano che poi ci ritorna nella forma francese, per indicare un particolare tipo di pane o un taglio di pietre preziose.
Se volete approfondire leggete qui.
KETCHUP e HAMBURGER: ketchup, invece, arriva dall’oriente, mentre hamburger dalla Germania, ma sono il simbolo del fast food statunitense e quindi ci fanno pensare agli Stati Uniti quando le sentiamo. Lo hanno spiegato bene quelli del Post. E per chi è curioso e vuole fare anche un po’ di esercizio con l’inglese ecco un bell’articolo di Slate.
E, restando in argomento parole e cibo, se penso alla cucina cinese negli Stati Uniti mi viene subito in mente il Chop Suey e il quadro di Edward Hopper del 1929. Il Chop Suey è un piatto ispirato o derivato dalla cucina cinese nato negli Stati Uniti a fine 1800, piatto che negli anni venti del XX secolo era molto popolare e diffusissimo in tutti gli Stati Uniti. Il nome è un adattamento del mandarino “tsa sui” o del cantonese “shap sui” e la ricetta, semplificata, consiste in un misto di carne e verdure stufate insieme con salsa di soia. I cinesi iniziarono ad arrivare in Nord America verso il 1840 a causa della situazione difficile dal punto di vista politico ed economico che si era creata nella loro madrepatria, accompagnata da una grande crescita demografica.
La parola che segue è un po’ per gioco, pensando soprattutto al suono:
ティラミス (Tiramisù in giapponese): peccato che il Giappone utilizzi già questa parola per identificare il nostro dessert, perché forse in questo modo diminuiscono le probabilità che un giorno la parola tiramisù possa identificare una qualche specialità gastronomica che farà pensare immediatamente al Giappone. Ma chi può dirlo… Magari questo succederà in qualche altra lingua o con altre parole. E andrà bene lo stesso.
Mi chiedo se il modo di dire con cui si intitola questo post, oggi, abbia ancora senso e se ne abbia mai avuto uno in passato. Se parlassimo come mangiamo, sono quasi sicura, non si capirebbe più nessuno.